Letture - Sagapò - Renzo Biasion
La letteratura dedicata alla
partecipazione dell’Italia alla Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) risulta
variegata sotto diversi aspetti. I filoni sono diversi, come diversificati
furono i teatri di guerra in cui combatterono gli italiani. Abbiamo così un
filone africano rintracciabile nei racconti di Paolo Caccia Dominioni, Takfir (1948) e Alamein 1933-1962 (1962); un filone del fronte russo che vede in Mario Rigoni Stern
con Il Sergente nella Neve (1953), Nuto Revelli con La Strada del Davai (1966) e Giulio Bedeschi con Centomila gavette di ghiaccio (1963) gli interpreti più riconoscibili. Non manca un
filone partigiano con Uomini e No (1945) di Elio Vittorini e Il partigiano Johnny (1968) di
Giuseppe Fenoglio. Questi solo per citarne alcuni ma la produzione, senza parlare
della memorialistica, è senz’altro importante.
Sagapò (1954) di Renzo Biasion
appartiene a pieno diritto a questa letteratura. Ma il contesto di cui parla
non è un fronte di guerra dove si combattono battaglie. Il contesto è la Grecia
occupata dalle truppe italiane e tedesche. Sagapò è un insieme di storie
di guerra, ma di una guerra dai clamori lontani. Sono storie di un’armata d’occupazione,
lasciata sul posto in presidio.
Sono storie in una terra sferzata
dal sole e in cui il cielo è sempre privo di nubi. Storie in cui spesso le giornate
passano identiche le une alle altre. Storie in cui uomini incontrano il calore
di una donna e nelle quali viene riscoperta un’umanità lacerata dalla guerra. Perché
Sagapò in greco significa “Ti amo”, linguaggio universale d'amore.
Le tredici storie di Sagapò
assomigliano ad affreschi in cui il lettore prova appieno il calore del sole
greco, lo smarrimento delle lunghe giornate d’attesa, la frescura di un mare.
Le nuvole di polvere che si alzano dai camion di soldati in movimento riempiono
le narici, l’ansia di amanti che s’incontrano nelle notti greche contagia nel
profondo. Ma il lettore non si illuda di belle storie con finale felice. La
morte, talvolta feroce, fa costantemente la sua comparsa in diversi dei
racconti talvolta chiudendoli in maniera truce. Lasciando spesso disperazione
in chi racconta. E dove non compare direttamente, la morte è una nebbia dei
pensieri che avvolge di paura i cuori. Ecco allora il bisogno di alcuni personaggi
di raccontarsi, di stringersi alla donna amata, anche se solo conosciuta nel buio
di una notte ateniese.
I racconti di Sagapò
raccontano una storia di guerra che di marziale possiede ben poco. Una storia
che spesso gli alti comandi militari hanno cercato di tacitare e dimenticare.
Anche con le brutte all’occorrenza, quando nel 1953, Guido Aristarco e Renzo
Renzi vennero arrestati e detenuti al carcere militare di Peschiera. La loro colpa?
Una proposta di film intitolata “L’armata s’agapò”, avanzata sulla rivista “Cinema
Nuovo” nella quale si parlava in termini critici dell’occupazione italiana in
Grecia. Un altro brutto esempio di come il secondo conflitto mondiale non abbia
prodotto in Italia la necessaria presa di consapevolezza del proprio ruolo in
quegli eventi.
Ispirato alle storie di Sagapò,
apparve anni più tardi il film di Gabriele Salvatores Mediterraneo (1991),
premio Oscar per il miglior film in lingua straniera. Riprendendo parti del
libro di Biasion, il film racconta le vicende di un gruppo di soldati
dimenticati su un’isola greca. A differenza degli scritti di Biasion manca però
la tragicità degli eventi dell’armistizio, del confronto tragico con i soldati
tedeschi, delle rappresaglie ed esecuzioni sommarie.
I racconti di Sagapò rappresentano
ancora oggi una piccola luce su avvenimenti che trascolorano nel passare del
tempo. Testimonianza della necessità di non deporre la propria umanità di fronte
alla tragedia di ogni conflitto.
Emanuele Cattarossi
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