Letture - Sagapò - Renzo Biasion


Renzo Biasion, Sagapò, Einaudi (Tascabili, Scrittori), Torino 2014, 206 pp.

La letteratura dedicata alla partecipazione dell’Italia alla Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) risulta variegata sotto diversi aspetti. I filoni sono diversi, come diversificati furono i teatri di guerra in cui combatterono gli italiani. Abbiamo così un filone africano rintracciabile nei racconti di Paolo Caccia Dominioni, Takfir (1948) e Alamein 1933-1962 (1962); un filone del fronte russo che vede in Mario Rigoni Stern con Il Sergente nella Neve (1953), Nuto Revelli con La Strada del Davai (1966) e Giulio Bedeschi con Centomila gavette di ghiaccio (1963) gli interpreti più riconoscibili. Non manca un filone partigiano con Uomini e No (1945) di Elio Vittorini e Il partigiano Johnny (1968) di Giuseppe Fenoglio. Questi solo per citarne alcuni ma la produzione, senza parlare della memorialistica, è senz’altro importante.
Sagapò (1954) di Renzo Biasion appartiene a pieno diritto a questa letteratura. Ma il contesto di cui parla non è un fronte di guerra dove si combattono battaglie. Il contesto è la Grecia occupata dalle truppe italiane e tedesche. Sagapò è un insieme di storie di guerra, ma di una guerra dai clamori lontani. Sono storie di un’armata d’occupazione, lasciata sul posto in presidio.
Sono storie in una terra sferzata dal sole e in cui il cielo è sempre privo di nubi. Storie in cui spesso le giornate passano identiche le une alle altre. Storie in cui uomini incontrano il calore di una donna e nelle quali viene riscoperta un’umanità lacerata dalla guerra. Perché Sagapò in greco significa “Ti amo”, linguaggio universale d'amore.
Le tredici storie di Sagapò assomigliano ad affreschi in cui il lettore prova appieno il calore del sole greco, lo smarrimento delle lunghe giornate d’attesa, la frescura di un mare. Le nuvole di polvere che si alzano dai camion di soldati in movimento riempiono le narici, l’ansia di amanti che s’incontrano nelle notti greche contagia nel profondo. Ma il lettore non si illuda di belle storie con finale felice. La morte, talvolta feroce, fa costantemente la sua comparsa in diversi dei racconti talvolta chiudendoli in maniera truce. Lasciando spesso disperazione in chi racconta. E dove non compare direttamente, la morte è una nebbia dei pensieri che avvolge di paura i cuori. Ecco allora il bisogno di alcuni personaggi di raccontarsi, di stringersi alla donna amata, anche se solo conosciuta nel buio di una notte ateniese.
I racconti di Sagapò raccontano una storia di guerra che di marziale possiede ben poco. Una storia che spesso gli alti comandi militari hanno cercato di tacitare e dimenticare. Anche con le brutte all’occorrenza, quando nel 1953, Guido Aristarco e Renzo Renzi vennero arrestati e detenuti al carcere militare di Peschiera. La loro colpa? Una proposta di film intitolata “L’armata s’agapò”, avanzata sulla rivista “Cinema Nuovo” nella quale si parlava in termini critici dell’occupazione italiana in Grecia. Un altro brutto esempio di come il secondo conflitto mondiale non abbia prodotto in Italia la necessaria presa di consapevolezza del proprio ruolo in quegli eventi.
Ispirato alle storie di Sagapò, apparve anni più tardi il film di Gabriele Salvatores Mediterraneo (1991), premio Oscar per il miglior film in lingua straniera. Riprendendo parti del libro di Biasion, il film racconta le vicende di un gruppo di soldati dimenticati su un’isola greca. A differenza degli scritti di Biasion manca però la tragicità degli eventi dell’armistizio, del confronto tragico con i soldati tedeschi, delle rappresaglie ed esecuzioni sommarie.
I racconti di Sagapò rappresentano ancora oggi una piccola luce su avvenimenti che trascolorano nel passare del tempo. Testimonianza della necessità di non deporre la propria umanità di fronte alla tragedia di ogni conflitto.


Emanuele Cattarossi

Commenti

Post più popolari