Storie. Gianni Brera (1919-1992)

Di Brera affiorava forse talvolta una citazione tra le
pagine sportive dei giornali ma solo anni più tardi ho avuto modo di leggere
qualcosa di lui. Si avvicinavano i mondiali di Francia del 1998 e i vari
quotidiani facevano a gara a offrire i classici inserti sulle squadre
partecipanti e sulle edizioni precedenti. Perché in fin dei conti un Mondiale
di Calcio è sempre qualcosa che va a calamitare l’attenzione a qualunque
latitudine o longitudine si vada giocando.
In uno di questi inserti trovai un articolo, intitolato
“Maledetti Noi”, a firma Gianni Brera. Ovvero l’articolo che descriveva quella
che nell’immaginario comune è diventata “La” partita o meglio ancora "Partido del siglo": Italia-Germania 4-3,
semifinale del Mondiale di calcio 1970. Un pezzo molto lungo, un articolo che a
scomporlo si noterebbero tre parti: un lungo preambolo iniziale; la descrizione
della partita; considerazioni finali.
Il preambolo conferma una paura di Brera, che lui stesso
nota: “Ora mi terrorizza l’idea che qualcuno debba scorrere un giorno questo
articolo senza capire né poco né punto come si sia svolta la memorabile
semifinale Italia-Germania dei mondiali 1970”. Non aveva tutti i torti.
L’attacco di questo pezzo non si capisce se non si conosce quella partita. Oggi
non è difficile ritrovarla nella sua interezza, ma forse basterebbe ritrovare i
momenti del gol decisivo di Rivera e sentire Nando Martellini definire la
partita appena prima del passaggio decisivo di Boninsegna come “drammatica” e
un attimo dopo il gol come “meravigliosa”. E tutto mentre di sottofondo, con la
voce rotta da un incontenibile emozione, il regista RAI Mario Conti urla più
volte “vinciamo”.
Ma che sofferenza per chi la visse in prima persona! La
descrizione della partita è la riprova dell’attenzione plurima che lo stesso
Brera dava ad ogni singolo incontro. E tra le parole si sente lo svolgersi
dell’incontro, il vantaggio italiano, l’assedio tedesco, i drammatici
supplementari. Gli errori di entrambe le squadre e il giudizio di Brera sui
tedeschi: “sono proprio tonti: ecco perché li abbiamo sempre battuti. Nel
calcio vale anche l’astuzia tattica non solo la truculenza, l’impegno, il fondo
atletico e la bravura tecnica”. Giudizio riapplicabile ad altri confronti fra
le due nazionali.
Nel tempo ho avuto modo di approfondire la conoscenza della
figura di Gianni Brera. Anche la televisione ha dato una mano: Rai Storia con
la serie “Italiani” ha intitolato una delle puntate “Gianni Brera – Il libero
della Bassa”. Oltre a ripercorrere le tappe fondamentali della sua vita, in
quella puntata si approfondivano i temi della scrittura “breriana”, la passione
per il calcio come per lo sport in genere, il piacere della buona tavola e del
buon vino”, le polemiche e le aspettative. Si ritrova con semplicità sul sito
della RAI, merita un occhiata. Più recentemente Sky Arte ha curato per il
centenario della nascita di Brera dal titolo “C’era una volta Gioânn
– 100 anni di Gianni Brera”, ugualmente interessante anche se considero il
precedente più completo.
Pubblicazioni a stampa non è difficile ritrovarle. Di per sé
“Il principe della zolla” raccolta di articoli di Gianni Brera curata di Gianni
Mura, edizione Il Saggiatore, offre uno spaccato a più direzioni di “grandi
partite, corse in bicicletta, nebbie padane” come recita il sottotitolo. Ma
pure qualcosa in più come la passione per un mondo di provincia che inizia a
scomparire, nella descrizione del Po’ e dei suoi Gabbiani. Oppure la
rivendicazione del proprio ruolo contro lo snobbismo dei grandi letterati
pronti a etichettare una semplice scrittura come “troppo giornalistica”. Ed
ecco allora la celebre polemica con Eco che lo definiva “un Gadda spiegato al
popolo”, a cui Brera, di rimando, rispose definendo a suo volta Gadda come “un
intarsiatore di parole”.
Diversamente l’uso di parole di Brera è diretto, chiaro.
Quando descrive la sua passione per la bicicletta e le prime gare si sente
davvero l’aria che scorre, la velocità, la pesantezza del pedale, lo stridore
dei freni. Parimenti quando scrive di boxe, il lettore deve prepararsi ad
incassare i colpi. E quando parla di cibo, di bollito di manzo misto, di
risotto alla milanese se ne sente il sapore. E infine le persone che descrive,
spesso “in memoriam”: toccante il ricordo di Nereo Rocco “e lui nel testamento
m’ha confidato di essere alla fine, di poter solo brindare con l’acqua Fiuggi”,
stupendo quello di “Peppin” Meazza “perché Peppin Meazza è il football, anzi
‘el fòlber’
per tutti gli italiani”, disperatamente autentico quello per Emilio Violanti “so
che dovevo ricordarti e l’ho fatto senza riuscire a liberarmi lo spirito dal
fastidioso rimorso di sopravviverti. Così succede rimpiangendo gli amici”.
Vale la pena allora conoscere un po’ di questa figura e il
suo modo di scrivere. Ancor più vale la pena, attraverso la sua lettura,
riscoprire il mondo che ci sta intorno, le bellezze, i piaceri, i sapori, le
parole, i luoghi, il gioco, l’amore. E, a parole nostre, saperli raccontare.
Emanuele Cattarossi
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