Letture - Venezia - Fernand Braudel

Fernand Braudel, Venezia, il Mulino (Intersezioni 400) Bologna (2013), 110 pp.

Non è difficile girare per gli scaffali delle grandi librerie e notare libri che parlano di questa o di quella città. Oppure, almeno per l’Italia, con un po’ d’attenzione trovare la serie “Breve Storia di …” della Pacini Editore. Chi scrive di una città? Solitamente, qualcuno che quella città la conosce bene o meglio ancora vi ha vissuto. Così fioriscono autori che di città ne descrivono la storia, le vie, gli usi, i costumi, la vita, i ricordi, il quotidiano.
Fernand Braudel (1902-1985) è uno tra i maggiori storici del Novecento. Date uno sguardo alle sezioni di libri di storia: si troveranno con semplicità i suoi testi più famosi. Testi peraltro ponderosi, intervallati talvolta da pubblicazioni più sottili e particolari. Ed ecco Venezia.
Premessa ad un volume fotografico del 1984 realizzato con Folco Quilici, questo testo di Braudel è una passeggiata calma e tranquilla per le calli veneziani, sostando per ripensare l’incredibile passato di una città impossibile da ritrovare in nessun altro luogo. Amsterdam, Stoccolma, San Pietroburgo talvolta provano a dirsi “Venezia del Nord” o “Venezia dei ghiacci”, ma il confronto con l’originale non offre scampo. Di Venezia, insomma, ce n’è una soltanto.
Affascina la narrazione di Braudel. Anche dove ripercorre le tappe storiche salienti di Venezia, conduce per mano il lettore. E il lettore si accorge di dover velocemente riprendere in mano i testi scolastici di storia. Perché se è vero che Braudel conduce man mano nella lettura, talvolta si può avere la sensazione che l’autore si fermi a guardare il lettore con un sorriso bonario quasi a dire “conosci un minimo di storia, vero?”. Ed ecco che il lettore scopre la profondità di una città che non possiede geometria. Di certo non la squadratura del centro di Torino o le curve montane dei borghi appenninici. Venezia è città che avvolge, che affascina, che pare immobile nel tempo eppure che trascina in una follia leggera, quasi come il suo Carnevale.
Una città, però, che Braudel riesce ad osservare forte della sua capacità di far emergere la longue durée, la lunga durata. E nel tempo notare il leggero, impercettibile ma costante sparire di Venezia. Uno sparire non tra le acque delle laguna, ma nel diventare cornice di un immagine che il mondo possiede di questa città. Braudel lo vedeva nel 1984. Oggi, tra vie brulicanti di visitatori e palazzi svuotati dai suoi abitanti, ci rivolgerebbe un altro sguardo bonario dicendoci “Avevo ragione a quanto pare”. 

Emanuele Cattarossi




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